i cani di via lincoln

un romanzo criminale

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Un noir terrificante e sofisticato

PUBSu PUB Per Ubriachi Bibliofili, sito degli studenti dell’Università di Tor Vergata, Laura Frustaci parla del romanzo “I cani di via Lincoln”.

“Uno spaccato della Palermo dei giorni nostri, dove mafie nuove e vecchie si intrecciano. Un noir/thriller da leggere tutto d’un fiato grazie al ritmo serratissimo con cui l’autore ci conduce dentro il mondo della mafia siciliana e cinese. In via Lincoln ad avere il controllo è la famiglia Trionfante, con i fratelli Saro e Innocenzo, detti “i cani”. I negozi versano a loro il pizzo, se c’è da compiere un omicidio il permesso va chiesto a loro, se qualcuno sgarra sono loro a punire. Ma i due cani trovati impiccati alle lanterne del ristorante Grande Pechino sono un chiaro avvertimento. Il giorno dopo, nel ristorante, avviene la strage. Otto morti crivellati da colpi di kalashnikov: sei cinesi, un uomo con il volto reso irriconoscibile dai colpi d’arma da fuoco e il giornalista italiano Sortino. Protagonista delle indagini è il tenente Cascioferro, un uomo che non sempre domina le emozioni, che maledice il suo mestiere, la sua città e soprattutto la giustizia, che poi così giusta non è. Vorrebbe acciuffare i colpevoli con le sue mani, ma sa che non può farlo; la corruzione coinvolge tutti, buoni e cattivi, e la scoperta dei colpevoli non porta con sé la possibilità di punirli.

L’autore crea un romanzo corale, spostando di volta in volta il punto di vista narrativo dal tenente Cascioferro agli altri protagonisti della vicenda. La sua scrittura graffiante, anche grazie all’uso del dialetto, si adegua a tutte le situazioni, alternando toni e registri, avvalendosi di un linguaggio crudo nelle descrizioni, scarno e diretto. Un noir terrificante, sofisticato, che fa luce su come la mafia cinese si sia ben radicata e addirittura intrecciata con quella siciliana. Merita veramente l’attenzione dei lettori”.

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Niente, una strage

Nicolò La Rocca recensisce il romanzo “I cani di via Lincoln” su Nazione Indiana:

“Sebbene sul fronte giudiziario si stia cercando di far emergere i gangli di quel gruppo di potere che il giudice Scarpinato ha definito borghesia mafiosa, sebbene il giornalismo più vigile (quello che non si limita a reggere il microfono al politico di turno) ci proponga inchieste che esplorano gli intrecci perversi alla base delle stragi del 1992-93, i mille interrogativi che scaturiscono dalle inquietanti rivelazioni di Massimo Ciancimino e Gaspare Spatuzza, le connessioni tra politica e mafia che si registrano in innumerevoli realtà locali, è innegabile che resista forte e inossidabile un’idea di mafia e criminalità circoscritta ai gruppi armati. Grande eco hanno i successi del governo sul fronte degli arresti di boss e soldati della mafia militare, invece quel filo insanguinato che da Portella della Ginestra arriva fino alla Seconda repubblica, è liquidato come oggetto di studio per professionisti della dietrologia. Si arresta la mano armata e si lasciano in parlamento onorevoli condannati per mafia. In parallelo, lo sconfinamento in ciò che Giovanni Falcone definiva “il gioco grande” raramente intacca il piano della riflessione culturale. Nando Della Chiesa, dalle pagine dell’Indice dei libri del mese, si lamentava proprio di questa anomalia dei nostri tempi: mentre si accumulano pregevoli pagine giornalistiche centrate sugli atti giudiziari, viene a mancare uno sfondo culturale.”

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Palermo è il convitato di pietra di questo eccellente romanzo, barocca, decadente, splendida nella sua vitalità violenta

Il critico Andrea Marrone parla del romanzo “I cani di via Lincoln” sul settimanale Vero.

“Come se non bastasse la nostra vecchia mafia a Palermo sbarca anche la mafia cinese. Tutto funziona nella consueta segretezza e riservatezza fino a che un piccolo boss decide di punire un esponente della mafia cinese perché, secondo lui, gli aveva mancato di rispetto non facendolo partecipare agli utili di un traffico lucroso e molto macabro. Tra una strage, un attentato e svariate truculente vendette mafiose il tenente dei Carabinieri Cascioferro deve dipanare collusioni politiche, risolvere incompatibilità culturali, cercare assassini, gestire pentiti e tenere a bada il troppo zelo di un procuratore della Repubblica, da poco divorziata, che stenta a capire come Palermo non sia la sua nativa Firenze. Palermo è il convitato di pietra di questo eccellente romanzo, barocca, decadente, splendida nella sua vitalità violenta e passionale la città sopporta, paziente, gli sfregi che gli uomini d’onore e i corrotti le impongono di continuo”.

Romanzo criminale

romanzo criminaleSalvatore Ferlita recensisce “I cani di via Lincoln” sull’edizione palermitana del quotidiano “La Repubblica” del 9 gennaio 2011. Scarica il pdf.

“La prima cosa da dire potrebbe essere questa, pressappoco: leggete “I cani di via Lincoln” (Laurana editore, 276 pagine, 16,50 euro) di Antonio Pagliaro perché non si tratta del solito noir. Questa volta infatti, sullo sfondo di una Palermo sempre più ostile e urticante, ci sono i cinesi: finalmente uno che se n’è accorto, viene da dire, che s’è guardato intorno, che ha preso spunto dalla presenza sempre più massiccia degli orientali, per raccontare una storia che, dall’inizio alla fine, gronda sangue e violenza. Certo, un ragionamento del genere non farebbe una grinza. Metterebbe al riparo dai sensi di colpa chi ancora guarda al genere poliziesco con sospetto, innescando una sofferta ma liberatoria resipiscenza sulla base dello spessore antropologico dell’opera, dell’impietosa e verosimile radiografia sociale e criminale offerta al lettore. Per non dire del finale, su cui per deontologia professionale non ci si può dilungare: crudo e respingente, per niente “consolatorio”.

Per farla breve: “I cani di via Lincoln”, pur appartenendo alla letteratura di genere, non è un romanzo come gli altri. Come dire: commettetelo pure questo peccato, tanto si tratta di una trasgressione veniale. Se esiste un confessore per lettori pentiti, rivolgetevi a lui genuflessi e con la cenere sul capo: non vi negherà di certo l’assoluzione. Fin qui, per i lettori snob e farisei. Per quelli che invece non hanno pregiudizi, che se ne infischiano delle ramanzine dei censori, diciamo che questo secondo romanzo di Antonio Pagliaro va letto e basta. Va letto perché l’autore, che è cresciuto rispetto alla sua opera d’esordio, limando la scrittura, lavorando su certi piccoli difetti, asciugando sbavature, pigiando meno sul pedale del macchiettismo, è riuscito a costruire una storia che regge dall’inizio alla fine, con un ritmo fatto di accelerazioni e improvvise frenate, di digressioni e di vertiginosi abbrivi; guardando alle cose e ai personaggi da una specola che consente lo sguardo corale senza però rifiutare i punti di vista esclusivi.

A dare la stura al romanzo, una carneficina consumatasi all’interno del ristorante Grande Pechino di Palermo: due carabinieri, per caso, scoprono il massacro, otto corpi senza vita, crivellati a colpi di kalashnikov e una donna ridotta molto male. Il tenente Cascioferro, già protagonista del romanzo precedente (“Il sangue degli altri”), prova a leggere la sintassi nascosta della scena del crimine. Lui è un carabiniere, dovrebbe avere nervi saldi e stomaco forte. E soprattutto, una fede incrollabile nella giustizia. Ma non è così: Cascioferro è uno che non sempre domina le emozioni. Trovandosi infatti nel bel mezzo di un’altra scena del crimine, Cascioferro piange, maledice il suo mestiere, la sua città, la giustizia ingiusta. Vorrebbe acciuffare su bito i colpevoli e strangolarli con le sue mani. «Sa che non dovrebbe pensarlo. Sa di rappresentare lo Stato. Sa di essere la legge. Eppure lo pensa»: ecco chi è Cascioferro. Ma torniamo ai cinesi, che a Palermo hanno colonizzato strade e vecchi negozi, garage in disuso e palazzine fatiscenti.Che comprano andandosene in giro con ventiquattrore zeppe di contanti, che stringono amicizie compromettenti. Che nascono numerosi, a Palermo, e che sembra non muoiano mai. Avete mai assistito a funerali cinesi? Dove vanno a finire i cinesi, una volta defunti? Sembrerebbe una domanda banale, alla stregua di quella che nel capolavoro di Salinger si pone il giovane Holden: «Chissà dove andavano le anitre quando il laghetto era tutto gelato e col ghiaccio sopra?». Eppure si tratta di un interrogativo inquietante, di una domanda radicale. La strage di cinesi, dunque: se qualcuno ammazza qualcun altro in via Lincoln, ragiona tra sé e sé Cascioferro, la famiglia Trionfante (quella del boss) deve esserne a conoscenza. O è in qualche modo coinvolta, oppure già si muove per preparare una controffensiva, per ristabilire i vecchi equilibri. Tra i morti ammazzati, c’è pure un giornalista. A fare poi da contorno, personaggi di tutti i tipi. A cominciare dal presidente della Regione, Salvino Cusimano, sorpreso quasi all’inizio del romanzo nel retrobottega di un negozio di abiti, a conversare confidenzialmente con una specie di mammasantissima. O che entra e esce da uno dei suoi alberghi: “intelligenti pauca” verrebbe da dire. L’inchiesta si fa via via sempre più trascinante e compromettente, e Palermo diventa una minacciosa foresta di interessi e traffici illeciti, con una sua rigorosissima cartografia del delitto e dell’immoralità.

Il sistema dei personaggi messo su da Pagliaro è quasi perfetto: da Giuseppe Miola, maresciallo dei carabinieri, a Edo Grandinetti, tenente del Sis, da Elisa Rubicone, sostituto procuratore, a Luca Leone Davì, capo di Cosa nostra, dal giornalista Corrado Lo Coco alla sua fidanzata. Lo stile di Antonio Pagliaro è quello di non averne: la sua scrittura sembra possedere la forma dell’acqua. Si adegua a tutte le situazioni, sa farsi carico delle pronunce più diverse (alternando toni e registri), è precisa e icastica ma mai protocollare o peggio fintamente referenziale. E si avvale di emblemi forti, di inquietanti correlativi oggettivi (come i cani impiccati alle lanterne del ristorante cinese)”.

Dedicato a chi pensa che il noir sia morto

Su “L’angolo nero“, uno dei blog più seguiti dagli appassionati di noir, Alessandra Buccheri recensisce “I cani di via Lincoln”.

“In queste giornate palermitane ho letto (non del tutto casualmente) i cani di via lincoln (scritto proprio così, senza maiuscole), secondo romanzo di Antonio Pagliaro. Il manoscritto ha avuto una gestazione piuttosto lunga – della quale mi piacerebbe parlasse l’autore – per approdare infine a una nuova casa editrice, Laurana. Il risultato finale è decisamente buono: trattasi infatti di un noir realistico ambientato a Palermo, terra di mafia e di paradossi.
Siamo nella primavera inoltrata del 2007 e in un ristorante cinese viene sterminata un’intera famiglia di “gialli”, più un giornalista siciliano e sua moglie. Le indagini ufficiali procedono molto lentamente per via di qualche intoppo burocratico e di un procuratore, Elisa Rubicone, donna, giovane e per di più “forestiera” (uno dei personaggi più interessanti del romanzo); le indagini parallele del giornalista Corrado Lo Coco sono parzialmente più interessanti, ma il tutto si blocca davanti al muro insormontabile della differenza linguistica e culturale. La comunità cinese, le cui dinamiche sono solo parzialmente note, alza un muro di omertà degno della miglior mafia; dal canto loro sono proprio le famiglie mafiose che contestano il polverone sollevato dalla strage (“Non c’è stato tanto ragionamento e non c’è stata tanta educazione”): l’offesa va risarcita, l’ordine va ripristinato e su tutto deve calare presto il velo dell’oblio, affinché gli affari sotterranei possano riprendere il loro corso normale.
Al tenente Cascioferro, che si dibatte tra visioni di femmine conturbanti e la stanca quotidianità con la moglie Giovanna e il criceto Cossiga, l’onere di portare a termine un caso in cui “nessuno è innocente”.

Pagliaro ha mantenuto la vena ironica e insieme la critica sociale già presenti in Il sangue degli altri ed è rimasto solidamente sulla strada del noir “senza speranza”. Corrado Lo Coco, protagonista del primo romanzo, perde di centralità a favore della squadra investigativa di Cascioferro mentre dal lato dei cattivi assumono maggiore rilievo le dinamiche mafiose (le riunioni, gli intrecci con la politica, la massoneria e le altre associazioni criminali, le motivazioni a delinquere). Lo spunto iniziale – un dato reale, come spiegato alla fine del romanzo – è valido e non troppo sfruttato e Pagliaro è bravo a sviscerarne le implicazioni, così come è bravo nel non “affezionarsi” ai suoi personaggi al punto da sacrificarne – inaspettatamente – più d’uno.

In queste giornate di festa consiglio di ritagliarvi il tempo per leggere i cani di via lincoln: ha una “voce” particolare e interessante, ritmo veloce e “verve”.
Dedicato in particolare a chi pensa che il noir sia morto e a chi trova che il noir italiano sia un po’ fiacco, perché possano cambiare idea”.

Top five

topfive
Mentre “I cani di via Lincoln” entra nella classifica dei libri più venduti (scarica il pdf della pagina) di Repubblica Palermo – al quinto posto – del libro parlano Adriana Falsone su Balarm (scarica il pdf) e Cristina Di Bonaventura su Corpi Freddi – blog di letteratura noir.

Adriana Falsone: “Otto persone vengono massacrate a colpi di Kalashnikov in un ristorante cinese di via Lincoln, una donna è in fin di vita. A indagare sulla strage saranno il tenente Cascioferro, il giornalista Lo Coco e il sostituto procuratore Rubicone. Mafia, massoneria e politica in “I cani di via Lincoln” di Antonio Pagliaro un intreccio di azione tutta siciliana. Com’è possibile che non si celebrano mai funerali cinesi? Dietro la strage c’è molto di più di una semplice vendetta. C’è un gioco di interessi che non risparmia nessuno, soprattutto la politica del malaffare che si appropria di tutto e di tutti. Traffico d’organi, giustizia sommaria e sanità corrotta e distorta. Fatti veri, o quantomeno assolutamente verosimili”.

Cristina Di Bonaventura:”Signori miei, intanto vi ringrazio con cuore di essere venuti e sono contento di trovarvi a tutti in buona salute, come lo stesso grazie a Dio posso dire di me. Ricordiamoci sempre che Cosa nostra discende direttamente dall’apostolo Pietro e cerchiamo sempre di essere degni di lui. In ogni famiglia che si rispetti deve regnare sempre l’armonia e armonia significa pure che possiamo riunire in buona salute. Io amo la Famiglia e amo Cosa nostra e la voglio vedere sempre unita. Purtroppo però stanno succedendo cose tinte che con l’aiuto di Dio non devono succedere.

Via Lincoln è della Famiglia Trionfante, i fratelli Saro e Innocenzo Trionfante, rispetttivamente capomandamento e sottocapo di Corso dei Mille. I negozi versano il pizzo a saro Trinfante e a lui tocca proteggerli. Se c’è da compiere un omicidio in via Lincoln è a Saro Trionfante che va chiesto il permesso. Se qualcuno sgarra in via Lincoln, è Saro Trionfante a doverlo punire, i cani li chiamano. E due cani impiccati alle lanterne del ristorante Gran Pechino sono un chiaro avvertimento. Il giorno dopo, la strage. Otto morti e mezzo crivellati di colpi, sei cinesi, un uomo con la faccia spappolata quindi irriconoscibile, un giornalista italiano, Sortino, e sua moglie l’unica sopravvissuta ma messa parecchio male. Mafia italiana e mafia cinese. Il tenente dei Carabinieri Nino Cascioferro sa come funzionano le cose a Palermo, sa che una strage di questo stampo deve per forza essere stata ordinata da Saro Trionfante, ma perchè, e contro chi. Forse il giornalista stava indagando troppo a fondo negli affari della mafia? Forse l’obiettivo erano proprio i cinesi? O forse ipotesi remota e assurda i Trionfante non c’entrano niente? Si trova a collaborare con la sostituta procuratrice Elisa Rubicone ma lei è toscana, cosa ne vuole sapere di come funziona in Sicilia, fino a fin dove ci si può spingere con le indagini senza finire ammazzati in un strage. Lei non sa che ci sono equilibri che non si posso rompere. La scoperta di decine di cadaveri e pollici congelati nello scantinato del ristorante complica ulteriormente le cose e il rischio è quello di doversi muovere su un terreno minato. In tutti i sensi.

Con un ritmo serratissimo Antonio Pagliaro ci addentra nel mondo della mafia e in quello dei cinesi. Scritto bene, con un linguaggio così scarno e diretto, senza parole di troppo, che a tratti sembra di leggere il verbale di un inchiesta che riporta i fatti in maniera sintetica. I capitoli, oltre alla normale numerazione, hanno il titolo “i cani” e “via Lincoln” a seconda se il punto di vista narrativo è quello delle Famiglie o di Cascioferro e delle indagini. Molti sono i personaggi che si muovono in questa storia (all’inizio c’è un elenco dei personaggi principali) e tutti, anche quelli marginali, hanno carattere e grinta. Massoneria, politici collusi “La sconfitta della mafia è vicina. La dobbiamo alle nuove generazioni perchè sono i giovani, questo straordinari giovani che incontro ogni giorno, la nostra speranza e verso di loro abbiamo un debito di un futuro di speranza e di fiducia, un debito che come presidente sento particolarmente mio. E qui ribadisco, da cattolico, che il nostro impegno contro la criminalità deve andare oltre, perchè da cattolici non possiamo accettare la cultura di morte della mafia” e colpi di scena a ripetizione che mi hanno fatto rimanere con il fiato sospeso e uno in particolare, il respiro me lo ha proprio tolto. Tutto in 273 pagine da cui è veramente difficile riuscire a staccarsi e che vi consiglio assolutamente di leggere”.